Il Prof. Stefano Vinti interviene sui limiti alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo

Una recente decisione della Corte di Cassazione ha delineato i confini esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.

La sentenza della Suprema Corte riguardava l’appello promosso ex art. 362 c.p.c. e 110 c.p.a. avverso la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 20 settembre 2018, n. 5753.

Tale decisone accoglieva il ricorso avanzato dalla società Pizzarotti & Co. S.p.a, difesa ed assistita dall’Avv. Prof. Stefano Vinti. Quest’ultima ha contestato l’assoluta inadeguatezza delle misure di dissociazione ex art. 38 del D.lgs. 163/2006, al tempo dei fatti in vigore, adottate dall’aggiudicatario avverso le condotte penalmente rilevanti intraprese dall’allora Presidente del Consiglio di Amministrazione nonché Direttore tecnico della stessa società.

Il Consiglio di Stato è il massimo organo giurisdizionale nel Diritto amministrativo. Quest’ultimo ha sede in Roma ed esprime il secondo ed ultimo grado di giudizio. È l’organo incaricato di verificare la legittimità, la correttezza e, in alcuni casi anche l’adeguatezza, dei provvedimenti amministrativi emanati dalle Autorità amministrative centrali e locali, ovvero da soggetti privati ​​ad esse equiparati, su iniziativa delle persone (fisiche ovvero giuridiche) lese da tali atti.

La decisione del Consiglio di Stato aveva ad oggetto una procedura ad evidenza pubblica indetta dal Commissario Straordinario del Governo per le Infrastrutture Carcerarie, con lo scopo di affidare congiuntamente il progetto definitivo ed esecutivo, nonché l’esecuzione di lavori volti alla realizzazione di un nuovo istituto penitenziario.

Il ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione era stato proposto in conformità alle disposizioni pertinenti, di cui all’art. 362 c.p.c. e all’art. 110 c.p.a. Con tale mezzo di impugnazione, la parte soccombente nel giudizio amministrativo di secondo grado voleva contestare le conclusioni a cui era giunto il Consiglio di Stato con la sentenza sopra richiamata.

Come accennato in precedenza, i giudici di Palazzo Spada avevano accolto la tesi sostenuta dall’Avv. Prof. Stefano Vinti a favore della società Pizzarotti & C. S.p.a. In particolare, secondo l’argomentazione della parte ricorrente, la società vincitrice della procedura ad evidenza pubblica de qua non aveva dimostrato di aver adottato le misure all’uopo necessarie ai fini di una “completa ed effettiva dissociazione dalla condotta” penalmente rilevante dal proprio amministratore, in chiara violazione dell’articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006.

Statuisce, sul punto, il Consiglio di Stato “anche a seguito del passaggio in giudicato della richiamata sentenza di patteggiamento  il Consorzio non abbia avviato nei confronti del Presidente l’azione di responsabilità sociale ai sensi dell’art. 2392 del cod. civ., né abbia riassunto in sede civile l’azione divenuta inammissibile nell’ambito del giudizio penale, rimanendo pertanto confermato che, al di là di apparenti forme, i suindicati elementi depongono invero nel senso dell’insussistenza di una genuina volontà di prendere le distanze dalla condotta del Presidente e di perseguire in modo coerente le condotte illecite”.

La società soccombente nel giudizio dinanzi al Consiglio di Stato aveva presentato ricorso in Cassazione, ex art. 362 c.p.c. e 110 c.p.a.

Quest’ultima poneva come motivo alla base del ricorso dinanzi la Suprema Corte l’eccesso di potere giurisdizionale in cui sarebbe incorso il giudice amministrativo che, secondo la società, si sarebbe illegittimamente sostituito all’Amministrazione aggiudicatrice nello svolgimento di attività riservate ex lege a quest’ultima.

Parte ricorrente sosteneva che il giudizio compiuto dai giudici di Palazzo Spada in ordine all’adeguatezza delle misure di dissociazione intraprese dalla società ricorrente nei confronti dell’allora Presidente del CDA della stessa, avrebbe dovuto essere oggetto di esclusiva valutazione dell’Amministrazione aggiudicatrice.

La Corte di Cassazione dichiarava chiaramente di non aderire a tale argomentazione, e di conseguenza dichiarava inammissibile il ricorso.

Secondo gli Ermellini, la decisione del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 122 c.p.a., non risulta illegittima per eccesso di potere giurisdizionale, poiché il sindacato del giudice amministrativo si è limitato ad un mero riscontro di legittimità del provvedimento oggetto di ricorso in Cassazione.

Ai sensi dell’articolo 111, ult. co., Cost., solo quando il giudice non si limita a valutare la legittimità del provvedimento impugnato, ma a valutare la convenienza e l’adeguatezza dello stesso, è configurabile il difetto di giurisdizione per violazione dei limiti esterni.

Pertanto, la Suprema Corte ha condiviso la pronuncia del Consiglio di Stato e nel sindacato del giudice amministrativo non ha riconosciuto alcun eccesso di giurisdizione, e quindi, nessuna violazione delle disposizioni normative citate.

Potrebbe interessarti anche